Dal Messaggero del
27 dicembre 1996
di Paolo Ricci Bitti


Grazie a Internet, Claudio Tinari ha scoperto dopo undici anni chi gli aveva stroncato la carriera di campione del rugby, chi gli aveva interrotto il sogno già trapuntato da 19 convocazioni in nazionale gettandolo nell’incubo di dolorose quanto inutili operazione chirurgiche. Il colpevole, Flavio Mambrito, è reo-confesso dopo aver covato i rimorsi dal 1985: «Caro Claudio, sono stato io a fratturarti un piede e a costringerti a lasciare la maglia azzurra nei tuoi anni migliori. Scusa». La madre di tutte le Reti trasformata in un confessionale dove inginocchiarsi, chiedere perdono e recitare pateravegloria davanti non solo alla propria vittima, ma anche a tutta la comunità di Ovalia che si riunisce dai quattro angoli del globo nella piazza virtuale della rugbylist@pianeta.it.

Ecco i protagonisti di quello che era uno dei più misteriosi gialli del rugby: la vittima è Claudio Tinari, romano, 36 anni, 19 presenze in azzurro, due metri abbondanti, una delle rare terze linee italiane di livello internazionale, stella in campo e anche sul mercato con i trasferimenti dal Cus Roma, al Rovigo e al Parma. Il colpevole è Flavio Mambrito, 38 anni, di Brescia, più conosciuto adesso che è un apprezzato veterinario di quando giocava con la maglia della Leonessa. La vittima neppure ricordava di aver giocato una volta contro quel bresciano che invece conosceva bene Claudio Tinari, all’epoca pupillo del santone Villepreux che lo schierò anche contro gli All Blacks.

Sia Tinari che Mambrito, nelle scorse settimane, si sono iscritti, uno all’insaputa dell’altro, alla rugby mailing list introdotta sulla Rete dall’editore telematico Giovanni Sonego. Chi ha qualcosa da dire, invia un messaggio e tutti possono leggerlo e replicare. E Flavio Mambrito ha digitato sulla tastiera: «Caro Tinari, erano undici anni che volevo rivelartelo: sono stato io a farti uscire durante quella partita a Brescia contro il Parma. Sono stato io, ala, a darti quel pestone sulla caviglia in un raggruppamento, ma non l’ho fatto apposta, solo un incidente di gioco. In vent’anni di partite non sono mai stato espulso. Scusami, perché se non era per Internet non avrei mai trovato né il coraggio né l’occasione per confessare».

Tinari, quella sera, ha ”aperto” la posta elettronica ed è restato di sale. Poi ha risposto: «Caro Flavio, è difficile descrivere le mie sensazioni in questo momento: sono ricaduto indietro di 11 anni, in quell’inferno che avevo a fatica accantonato. Effettivamente il 10 febbraio ’85, a Brescia, chiusi la mia carriera nel rugby vero. Il piede era fratturato e, constatato che dopo operazioni chirurgiche molto complesse non rendevo più come prima, con fatalismo ho proseguito la mia esistenza senza la palla ovale giocata. Avevo solo 25 anni e a lungo mi sono chiesto chi fosse stato a calpestarmi. Sei scusato. Grazie per la confessione e grazie a Internet che si conferma un grandissimo strumento».

Per fare penitenza fino in fondo, il veterinario Mambrito ha stampato la corrispondenza con Tinari (ora manager al Cecchi Gori Group e presidente dell’Unione rugby capitolina) e l’ha portata a vecchi e nuovi compagni di squadra: «Hanno capito tutti che s’era trattato di un fallo involontario e mi hanno abbracciato. E, come me, hanno detto che Tinari si è dimostrato un grande uomo anche fuori dal campo. Proprio un rugbysta».

Paolo Ricci Bitti


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