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M. Targi

Uno dei problemi ancora irrisolti del passaggio di consegne ad Hong Kong e’ sicuramente il possibile sovrapporsi degli inni nazionali intorno alla mezzanotte del 1° luglio. Infatti i cinesi reclamano che la fanfara inglese termini l’esecuzione del "God Save the Queen" cinque secondi prima delle 24, per dar modo ai colleghi di attaccare puntuali col loro inno.
Un problema da poco, forse, ma che testimonia sicuramente un clima poco disteso attorno a questo episodio di fine millennio che ha tutti i crismi di un vero evento.
Hong Kong è infatti il primo territorio che passa nelle mani di un regime comunista dopo Berlino ‘89, e forse il primo esempio di colonialismo che non lascia dietro di sé storie di miserie e soprusi, ma anzi un’isola con un reddito procapite superiore a quello della stessa Inghilterra.
Con quale spirito la Cina comunista ritorna su Hong Kong? Le autorita’ assicurano che per almeno altri 50 anni il dollaro e la lingua l’inglese resteranno sull’isola la lingua ufficiale, ma per ciò che concerne la libertà di informazione le cose, già, potrebbero invece cambiare. Dipenderà da Tung Chee-Hwa, il 60enne armatore che comanderà da martedì su Hong Kong; ma dipenderà soprattutto dalla Cina, che smessi i panni sanguinari di piazza Tienanmen si scopre turgido frutto corteggiato dalle diplomazie di mezzo mondo.
Impossibile pensare che l’evento non si traduca in un’occasione unica per Pechino che, come un giocatore allo scadere della sua squalifica, sente oggi l’occasione per riscattare 150 anni di "umiliazione nazionale".
Legittimo sperare che questo reload della storia non ci consegni, per l’inizio del nuovo millennio, il lugubre scongelamento di uno scontro tra grandi civiltà che già bisticciano sugli inni nazionali.

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