Da Chihuahua a Los Mochis
di Andrea Burzacchini


"Ma se dico Messico, a che pensi?"
"I templi, i Maya, gli Atzechi".
"Bene, e poi?"
"Mah, i tuffatori di Acapulco, Puerto Escondido, i Caraibi..."
"E ancora?"
"Ah, il Subcomandante Marcos, l’Esercito Zapatista!"
"E..."
"Oddio, Città del Messico, la città più inquinata del mondo".
"Nient’altro?"
"..."

Non c’è nulla da fare: che si parli con un amante dell’arte o con un tipo da spiaggia, con un ambientalista o con un filorivoluzionario, il Messico è soltanto il Sud, il Chiapas, lo Yucatàn, Mexico City e poco altro: quella parte sterminata di territorio che è situata tra la capitale e il confine con gli Stati Uniti è costantemente del tutto ignorata. E dire che questa terra, di enorme varietà culturale e paesaggistica, scenario delle imprese di Pancho Villa, di Zorro e di Tex Willer, nasconde angoli di incredibile suggestione.

Va bene, sto parlando come la guida del Touring e cercherò di non farlo più, ma l’emozione di un viaggio sul Vista Tren del Ferrocarril Chihuahua-Pacifico vale senz’altro la visita all’estremo nord del paese.

Siamo a Chihuahua, capitale dell’omonimo stato, il maggiore degli stati messicani e confinante a nord con Texas e New Mexico; la città è coloniale e bruttarella, con l’unica particolarità dei mercatini dove si vendono le gabbiette con quei cagnolini infernali che prendono il nome dalla città stessa. Ma da qui parte il viaggio indimenticabile con il Vista Tren, treno con ampie finestre panoramiche in servizio quotidiano da Chihuahua a Los Mochis, sulla costa pacifica.

Si parte alle 7.00 per arrivare (se non ci sono ritardi, ma qui siamo in Messico!) alle 20.45: la cosa migliore, tempo permettendo, è però quella di fermarsi uno o due giorni a Creel, prima stazione di una certa importanza dell’intero viaggio. Siamo già a 2350 m sul mare (a Chihuahua eravamo 1000 m più in basso) e l’escursione termica tra il giorno e la notte si fa sentire; il paesino vive dell’industria del legno e ha due o tre piccoli alberghi per accogliere i viaggiatori, ma la cosa migliore è prendere alloggio da Margarita, una splendida e simpaticissima meticcia, che per pochi pesos vi offre letti a castello, tortillas e racconti. L’indirizzo non ce l’ho, ma appena scesi alla stazione, dei bambini minuscoli ti assalgono chiedendoti "Hola, quieres dormir? Quieres comer?": saranno loro a portarti da Margarita, che oltretutto è riportata sulle migliori guide dei viaggiatori "veri", come il Let’s Go e la Guide du Routard; quindi, oltre ad ascoltare storie e mangiare tortillas, rischiate anche di fare splendidi incontri...

A Creel si organizzano gite verso le zone circostanti. Attenzione, perché se ai bordi del paese la vegetazione è alpina e le conifere sono spesso ricoperte da neve, in poche decine di chilometri, rischiate di trovarvi 1500 metri più giù sul fondo di canyon a raccogliere cedri e banane! Le mete sono tante: fatevi consigliare da Jurgen (ebbene sì, non Jorge: è un tedesco, parla lo spagnolo come Schumacher parla l’italiano, era guerrigliero sandinista in Nicaragua e ora si diverte a scarrozzare gli ospiti di Margarita su e giù per i canyon, tra i suoi amici Tarahumara).

I Tarahumara sono i discendenti degli antichi abitanti di queste terre. Indios di stirpe uto-atzeca, vivono per lo più in abitazioni trogloditiche e vivono di caccia, agricoltura ed artigianato; sono stati cristianizzati dai Gesuiti, ma la loro religione è uno dei più begli esempi di sincretismo dell’intera America Latina: festeggiano la Settimana Santa, il Corpus Domini ed il Natale, ma le principali divinità sono il Sole e la Luna; seppelliscono i morti sotto la croce, ma è necessario che un cane, opportunamente sacrificato dopo lunghi e complicati riti, vada a far compagnia al defunto: non si sa mai... Bisogna dire che i Gesuiti, che si sono avvicendati in qualità di vescovi di queste terre, hanno sempre tollerato con grande saggezza queste forme di sincretismo; infatti durante la mia presenza, il dibattito tra i capi delle comunità era basato su questa domanda: "Per la prima volta il vescovo nominato non è un Gesuita: che facciamo? Lo lasciamo salire o no?"... Non ho mai saputo come è andata a finire. Singoli problemi a parte, si può fortunatamente dire che i Tarahumara sono tra i pochi popoli indigeni del Messico cui è permesso vivere con una certa dignità e nel rispetto delle loro tradizioni; ma temo che ultimamente le cose stiano peggiorando...

Sono soprannominati raramuri, che significa "chi corre veloce": infatti, sono note le loro manifestazioni podistiche nelle quali corrono per decine e decine di chilometri con palle di legno attaccate alle caviglie.

Ma lasciamo Creel e risaliamo sul treno, anche se la voglia di rimanere è tanta. Dopo un po’, ci si ferma: non ci sono stazioni, ma siamo a Divisadero, il cui nome ci ricorda che siamo esattamente sullo spartiacque tra i due oceani (un po’ come sul Cimone, spartiacque tra Tirreno e Adriatico!). Davanti a noi si apre l’incredibile vista del Barranca del Cobre, il Canyon del Rame: il canyon abbraccia una dozzina di gole, ospita i villaggi dei Tarahumara, era ricco di oro, argento ed opale ed è vasto qualcosa come quattro volte il più famoso Gran Canyon in Colorado!

Si salutano i falchi che volteggiano sopra le nostre teste e si incomincia a scendere verso il Pacifico. Ormai si crede di aver visto tutto, eppure il lungo tratto che rimane vi lascerà senza fiato con lo sguardo oltre il finestrone (la velocità è bassa, si può stare fuori col vento tra i capelli): i canyon sono attraversati da ponti in ferro, le montagne da gallerie con le pareti in roccia viva; si contano 86 ponti e 39 gallerie prima di arrivare, col sole ormai tramontato, a Los Mochis, sull’oceano; nel frattempo, quasi per incanto, i pini si sono trasformati prima in cactus, poi in palme. Dobbiamo anche spostare indietro le lancette dell’orologio: abbiamo cambiato fuso orario.

Beh, il viaggio finisce qui: a Los Mochis fermatevi giusto la notte, non c’è nulla da vedere; e adesso prendetelo questo aereo (o il pullman) verso sud, verso Acapulco, verso il Subcomandante, verso i Maya...

Ma non dimenticate questo pezzo di Messico; e se passate da Margarita, salutatemela. Soprattutto, fatevi dare la sua E-mail: ce l’ha di sicuro.

 

 

Andrea Burzacchini

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