Alberi e mulini


Dalle mappe del 1720 di Andrea Banzoli apprendiamo che il Canale di Secchia azionava in città 10 mulini e serviva 31 filatoi e 2 galgarie. Nelle galgarie come abbiamo già detto presenti già nel 1300, si utilizzavano le galle delle querce per la concia e tintoria delle pelli. Anche in provincia esistevano numerosi mulini che "utilizzavano" prodotti di alberi dove si macinavano ad esempio castagne e olive .

"Nella Val Tresinaro- ricorda Arnaldo Tincani- c’era il Mulino delle Noci, così chiamato perché posto nei pressi di un grande noceto popolato da alberi secolari, ma anche perché si spremevano i gherigli per confezionare olio di noce. Le noci, convenientemente passate, si riducevano ad un miscuglio di gherigli che andavano poi soggetto alla spremitura mediante un torchio di legno senza viti: ne usciva dell’olio adatto alla frittura usato anche come antigelo del Vischio nella stagione invernale. In questo grande mulino operavano altre tre macine per il frumento, per il granoturco e per le castagne".

Sempre sul Tresinaro operava il Mulino delle Vene con annessa tintoria: con il mallo verde delle noci o con le scorze e radici della pianta si otteneva una tinta "tinta ad nusa" per usi di falegnameria. "I mugnai della Val Tresinaro- ricorda sempre Tincani- per ovviare all’inconveniente del surriscaldamento della farina mettevano tra le macine dei pezzettini di legno maledetto (legn maldat): cioè il Viburno (Viburnum opulus). Senza questo Viburno le macine sarebbero andate una volta vuote e una volta cariche". Le ruote dei mulini erano generalmente in legno di quercia, cerchiate di ferro, con decine di pale. Anche i grossi alberi di trasmissione erano di quercia e poggiavano su supporti rivestiti di piombo; gli ingranaggi erano invece di Olmo. Interessante, per concludere, un regolamento comunale del 1878 per i molini e opifici lungo il Canale di Secchia.

Tra le tante attività non permesse al mugnaio c’era anche quella di alterare l’ambiente circostante. Non poteva infatti modificare l’altezza delle paratoie o praticare scavi nell’alveo del canale, ma soprattutto era vietato espressamente, all’articolo 1, "radicare piante d’alberi e siepi sugli argini o nelle sponde dei canali stessi".


Nell’immagine un mulino appena fuora città in funzione fino a pochi anni fa.




Ugo Pellini



La storia di Reggio attraverso gli alberi


© 1996 Giramondo
PIANETA s.r.l.