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Andrea Burzacchini

Ancora oggi attraversare un ponte mi trasmette sensazioni intense, inconsuete e talvolta sinistre. Penso alle tristi immagini del novembre del ’93 quando l’esercito croato bombardò il millenario ponte sulla Neretva che univa Mostar Est a Mostar Ovest, quello stesso ponte che quindici anni prima era stato fugace territorio di giochi estivi con mio fratello. Non era un ponte che veniva distrutto, ma l’idea stessa di legame tra due mondi - quello cristiano e quello musulmano, seppure l’antico ponte di Mostar non avesse alcun significato strategico.
Ecco, dei ponti mi piace l’idea di non appartenenza, l’idea di terra di nessuno e, appunto, di sospensione implicita nel sostare a metà di un ponte. Cittadini del mondo senza bisogno di scegliere una sponda a cui appartenere o l’urgenza di arrivare da qualche parte. Viviamo invece tempi bui, in cui, sempre di più, si sente la necessità di piantare bandiere sui campanili e di tracciare confini sulle mappe, proprio oggi, che queste righe sconnesse possono essere lette contemporaneamente al di qua e al di là di qualsiasi ponte.
Mi tornano in mente le parole di Alexander Langer, "obiettore etnico" altoatesino/sudtirolese - che rifiutava di dichiarare la propria appartenenza ad uno dei tre ceppi linguistici, italiano, tedesco o ladino: "L’autodeterminazione dei soggetti o delle comunità non deve partire dalla definizione delle frontiere e dei divieti di accesso, bensì piuttosto dalla definizione di dei propri valori ed obiettivi, e non deve arrivare all’esclusivismo e alla separatezza".
Langer si è suicidato due anni fa, proprio in questi giorni di inizio estate, forse oppresso da pesi insostenibili per lui "viaggiatore leggero". Nel messaggio che ha lasciato scriveva "Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto"

CLICK E TORNI A GIRAMONDO
© 1996 Giramondo
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Fin da piccolo, visitando posti sconosciuti con la mia famiglia, al mare o in montagna, volevo salire su un ponte. Mi dava frenesia, mi chiedeva di attraversarlo, di posare piede sull’altra sponda.